giovedì 10 dicembre 2009

il potere nega il cambiamento del clima


La Conferenza intergovernativa per i cambiamenti climatici (Ipcc) si è impegnata a investigare a fondo lo scandalo delle mail e dei documenti rubati dagli archivi del Centro ricerche sul clima (Cru) dell’università britannica di East Anglia, che ha sollevato un polverone politico e mediatico a pochi giorni dall’inizio del vertice di Copenaghen. Qualunque sia il risultato dell’inchiesta, secondo New Scientist e Nature questo scandalo non minaccia affatto la credibilità della ricerca scientifica sul clima.
Alcune email e documenti sottratti dal Cru dimostrano, secondo alcuni, che gli scienziati di uno dei centri di ricerca sul clima più importanti del mondo hanno alterato alcuni dati per dimostrare che i cambiamenti climatici sono causati direttamente dall’attività umana. Ma un’inchiesta dell’Ipcc e del settimanale britannico Mail on Sunday sostiene che l’operazione di delegittimazione della comunità scientifica sia stata opera dei servizi segreti russi. Secondo i giornali scientifici, tuttavia, questa vicenda non smentisce in nessun modo il fenomeno dei cambiamenti climatici e la loro dipendenza dai gas serra.
“Siamo sicuri al cento per cento che il mondo si stia riscaldando”, afferma New Scientist. È sotto gli occhi di tutti, basta guardare il proprio giardino: “Osservate la campagna a primavera, quando sbocciano i fiori, quando nascono nuove foglie, quando arrivano gli uccelli migratori. Se confrontate le vostre osservazioni con i dati degli anni passati, vi accorgerete che la primavera arriva giorni, forse settimane in anticipo rispetto a qualche decennio fa”.
Lo scandalo delle mail rubate è grave e suscita timori di manipolazione, “ma dimostra semplicemente che molti dati devono essere confermati e confrontati e che ci possono essere degli errori di rilevazione che dipendono dalle condizioni delle misurazioni e da fattori ambientali, anche se il quadro generale è chiaro: i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera sono aumentati e questo è direttamente connesso al riscaldamento globale”.
Anche Nature è della stessa opinione: “Le mail rubate non rivelano un complotto scientifico, ma mettono in luce il rapporto difficile tra ricerca scientifica e opinione pubblica”. Questo scandalo, sostiene Nature, e le tesi di chi lo ha utilizzato per sostenere un atteggiamento di scetticismo rispetto ai cambiamenti climatici, in passato avrebbe suscitato ilarità per la sua inconsistenza. “Invece sarà strumentalizzato dagli ostruzionisti, per esempio nel senato statunitense, per combattere la legge in discussione per la riduzione delle emissioni”.
Certo i meteorologi potrebbero usare criteri di apertura e di condivisione delle informazioni più aperti e più orizzontali e questo eviterebbe vicende come quella delle mail rubate, “ma è anche vero che molti governi impediscono agli istituti di ricerca di rendere pubblici i loro studi sul clima per ragioni di sicurezza. Anche questo, per esempio dovrebbe cambiare”.
fonte:internazionale

mercoledì 9 dicembre 2009

la catastrofe climatica


Secondo l'ONU il numero di persone colpite da catastrofi naturali è più che raddoppiato negli ultimi anni. Lo studio, che è stato rilasciato il secondo giorno della Conferenza sul cambiamento climatico a Copenaghen, stima che tra 25 milioni e un miliardo di persone potrebbero essere cacciati dalle loro case per i prossimi quattro decenni, ma solo pochi di questi rifugiati "climatici" sarebbero in grado di lasciare i loro paesi a causa della mancanza di mezzi e la capacità di viaggiare in luoghi più ricchi. Potenziali punti caldi per le migrazioni internazionali sono già stati identificati. Questi sono i paesi che hanno alti tassi di emigrazione, con enormi sfide socio-economiche. Essi comprendono l'Afghanistan, Bangladesh, la maggior parte del Centro America, dell'Africa occidentale e diversi paesi del sud est asiatico.
Sul piano pratico, dal Protocollo di Kyoto (1997) a oggi, quanti degli obiettivi fissati per ridurre le emissioni di gas a effetto serra sono stati raggiunti?
Antonello Pasini, esperto di cambiamenti climatici dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico (Iia) del Cnr spiega:
Innanzitutto, va precisato che  Kyoto è stato fondamentalmente un atto di buona volontà dell’Occidente per dare il buon esempio sulla riduzione delle emissioni .Tra i firmatari occidentali, però, mancarono gli USA, che addirittura dal 1990 hanno aumentato le emissioni del 20%, mentre Russia e Australia hanno aderito solo nel 2005 e nel 2007. La ‘filosofia’ del Protocollo è la responsabilità comune differenziata, per cui il problema è globale ma chi ha contribuito di più alle emissioni deve ridurre in misura maggiore e per primo.
Peraltro, non tutti i paesi aderenti hanno rispettato gli impegni presi. I più virtuosi sono stati la Germania, (- 22%), l'Inghilterra(-17%) e la Francia (-6%). I più inefficienti, la Spagna (+54%), la Finlandia (+11%) e l’Italia (+7%)”. Fuori dal protocollo,  sono poi rimasti Cina e India, cioè altri due dei maggiori ‘inquinatori’, Brasile e paesi in via di sviluppo, tra cui l’Africa che emette pochissimo ma è anche il continente più vulnerabile.
In questa situazione, Copenhagen è attesa come un appuntamento fondamentale, soprattutto dopo che Obama ha dichiarato che parteciperà al vertice, anticipando l’impegno a ridurre le emissioni di gas serra del 17% in dieci anni. Una decisione importante in un momento di empasse in cui le forze centrifughe sembrano più forti di quelle di coesione, anche se negli ultimi giorni c’è stato un altro segnale positivo: la Cina ha deciso di diventare più efficiente, cioè di emettere meno CO2 per unità di Pil, Certo è che le riduzioni di cui parla il presidente americano sono relative al 2005: gli Usa tornerebbero dunque soltanto a valori di emissione simili a quelli del 1990, anno di riferimento.
fonti:ONU,CNR

lunedì 7 dicembre 2009

la sfida del clima a copenhagen




conferenza di copenhagen sul clima.
Finalmente la grande ora è giunta:a Copenhagen si apre la Conferenza sui cambiamenti climatici,dove più di 15.000 partecipanti provenienti da 192 paesi del mondo,in due settimane,decideranno le sorti della nostra Terra.Secondo l'ONU,cioè chi ha organizzato questa gigantesca conferenza,essa rappresenta un punto di svoltanella lotta per impedire il disastro cliamatico.
Il mondo si aspetta che con questa conferenza vengano fatti concreti passi in avanti sul clima, così da gettare le basi per giungere ad un accordo di alto livello.una delle maggiori organozzazioni ambientaliste del mondo, Greenpeace,chiede a gran voce che per giungere a un accordo stringente sia necessario che gli stessi capi di stato, che hanno i maggiori poteri decisionali, partecipino direttamente al vertice di Copenaghen. Ministri e altri delegati non sono infatti in grado di prendere le decisioni necessarie in quella sede, col rischio di concludere il percorso in un “nulla di fatto”.
Greenpeace insieme a WWF chiedono inoltre:(secondo me sono i punti più importanti da raggiungere)
I Paesi industrializzati, come gruppo, devono impegnarsi a ridurre le proprie emissioni di gas serra di almeno il 40% entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990
False soluzioni, pericolose e immature, come l’energia nucleare e la cattura e lo stoccaggio della CO2 da impianti a carbone (CCS) non devono rientrare tra le opzioni finanziabili all’interno del Protocollo di Kyoto per ridurre le emissioni
La deforestazione (e le emissioni ad essa associate) deve essere fermata in tutti i paesi in via di sviluppo al più tardi entro il  2020. L’obiettivo “Deforestazione ZERO” deve essere raggiunto già entro il 2015 in Amazzonia, Congo e Indonesia.
Mantenimento dell’aumento delle temperature ben al di sotto della pericolosa soglia dei 2°C, e declino delle emissioni globali a partire dal 2017.
L’International Energy Agency ha calcolato che per ridurre di due gradi la temperatura del pianeta sono necessari 10500 miliardi di dollari di nuovi investimenti per aggiornare centrali elettriche, oleodotti e raffinerie.
Questi obiettivi sono molto ambiziosi,se i governi dei paesi più industrializzati lavoreranno duro,si riuscirà a raggiungerli.Putroppo i paesi del mondo partono alla Conferenza già divisi nei propri egoismi e questo sarà uno dei motivi del fallimento di questa conferenza(scusate il mio pessimismo.)

venerdì 4 dicembre 2009

giornalisti in pericolo

Il mestiere di giornalista è  uno dei mestieri più pericolosi al mondo,specialmente se si fà in zone di guerra o in regimi dittatoriali, e lo conferma quello che è successo recentemente a Mogadiscio dove tre giornalisti sono morti in un'esplosione , che ha ucciso almeno 22 persone, compresi tre ministri del governo. Altri due giornalisti sono feriti gravemente. Un attentatore suicida ha fatto esplodere la bomba durante una cerimonia del diploma universitario presso l'Hotel Shamo. Diversi giornalisti sono stati uccisi in Somalia di quest'anno, che lo rendono uno dei paesi più letali al mondo per la stampa, e il più sanguinoso in Africa.A difendere il giornalista oppresso ci pensa il Committee to Protect Journalists che è un'organizzazione indipendente senza scopo di lucro fondata nel 1981 con sede a New York che promuove la libertà di stampa in tutto il mondo, difendendo i diritti dei giornalisti di riferire la notizia, senza timore di rappresaglie.
Nel sito sono raccolte le seguenti statistiche:
36 giornalisti uccisi nel 2009
763 giornalisti uccisi dal 1992
485 i giornalisti uccisi impunemente dal 1992
30 giornalisti scomparsi in tutto il mondo
Queste le prime quattro nazioni dell'anno in corso:
Somalia: 6
Iraq: 4
Pakistan: 4
Russia: 3
CPJ organizza vigorose proteste pubbliche opera attraverso i canali diplomatici per difendere i giornalisti in pericolo in tutto il mondo. CPJ pubblica articoli, comunicati stampa, relazioni speciali, una rivista semestrale e un'indagine annuale a livello mondiale della libertà di stampa .CPJ gestisce anche l'annuale CPJ International Press Freedom Award, che premia ed onora i giornalisti e sostenitori della libertà di stampa che hanno subito percosse, minacce, intimidazioni e la prigione per aver segnalato la news.
CPJ è un membro fondatore della International Freedom of Expression Exchange (IFEX), una rete globale di oltre 70 organizzazioni non governative che monitora le violazioni della libera espressione di tutto il mondo e difende i giornalisti, scrittori,blogger e altri che sono perseguitati per aver esercitato il loro diritto di libertà di espressione.

martedì 1 dicembre 2009

castelli di sabbia


“Il più grande mistero nel crac finanziario di Dubai non è perché il sogno del deserto si è trasformato in un incubo, ma perché ci ha messo così tanto”, scrive il Guardian. Oggi laborsa di Abu Dhabi ha perso più di otto punti e il titolo Dubai World 15. E domani non andrà meglio, dopo la notizia che il governo non si assumerà la responsabilità dei debiti di Dubai World, società completamente controllata dallo stato.
La stampa britannica segue la crisi di Dubai con molta attenzione, visto che molti inglesi vivono o fanno affari negli Emirati. E spiega che la crisi viene da lontano, e che molti hanno solo fatto finta di non vederla arrivare. “Fin dall’inizio della crisi dei mutui negli Stati Uniti, la stretta internazionale sui prestiti ha portato allo scoppio di alcune bolle finanziarie nel mondo, come quella in Islanda o in Gran Bretagna. Ma altre ci hanno messo un po’ di più. A Dubai, i costruttori dei grattacieli si erano resi conto che sarebe stato difficile terminarli e venderli, e che i costi delle case stavano crollando. Ma hanno preferito andare avanti lo stesso, nella speranza di un miglioramento”.
Ma le cose non sono andate come speravano e ora, secondo le banche internazionali, la società Dubai World deve affrontare un buco di 60 miliardi di dollari. A Dubai il tempo degli arcipelaghi a forma di planisfero e degli alberghi sospesi sull’acqua sembra sempre più lontano.
tratto da: internazionale
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