lunedì 15 marzo 2010

w il software libero

Offrire al mondo programmi informatici che possano essere liberamente
usati e copiati, modificati e distribuiti, gratis o a pagamento. Questa
la scommessa lanciata nell’ormai lontano 1984 da Richard Matthew
Stallman. Qualcosa (apparentemente) impossibile perfino a concepirsi,
in un’epoca in cui informatica era (ed è) sinonimo di monopoli, produzioni
industriali, mega-coporation. Un approccio tanto semplice
quanto rivoluzionario, il concetto stesso di software libero, che ci riporta
finalmente con i piedi per terra. E la cui pratica quotidiana è ispirata
a un principio anch’esso basilare ma troppo spesso dimenticato: la
libera condivisione del sapere, qui e ora, la necessità di (ri)prendere in
mano la libertà individuale di creare, copiare, modificare e distribuire
qualsiasi prodotto dell’ingegno umano. Ponendo così le condizioni
per un ribaltamento totale proprio di quell’apparato pantagruelico che
ha piegato l’attuale ambito informatico alla mercé di un pugno di colossi,
inarrivabili e monopolistici.
Nella rapida trasformazione degli equilibri in gioco nell’odierna rivoluzione
tecnologica e industriale, il software libero va dunque scardinando
certezze antiche, aprendo al contempo le porte a scenari del tutto
nuovi e inimmaginabili. Senza affatto escluderne i riflessi nel mondo
della piccola e grande imprenditoria e a livello commerciale: basti
ricordare l’ampio utilizzo del sistema operativo GNU/Linux (spesso
indicato, in maniera imprecisa, solo come ‘Linux’) sia su macchine
high-end come pure su quelle più economiche e dispositivi portatili vari,
mentre il 70 per cento dei server web su internet girano su Apache, pro-
gramma di software libero. Considerando insomma la centralità assunta
dal software in quanto comparto industriale strategico all’interno di
una poliedrica età dell’informazione, c’è da scommettere che la rivoluzione
innescata da Richard Stallman continuerà a produrre un’onda
assai lunga negli anni e nei decenni a venire.
Predisposto all’isolamento sociale ed emotivo, fin da ragazzo Stallman
dimostra un’acuta intelligenza unita a una sviscerata attrazione per le
discipline scientifiche. Laureatosi in fisica ad Harvard nel 1974, alla
carriera di accademico frustrato preferisce l’ambiente creativo degli
hacker che danno vita al Laboratorio di Intelligenza Artificiale presso
il prestigioso MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston.
Si tuffa così nella cultura hacker di quegli anni, imparando i linguaggi
di programmazione e lo sviluppo dei sistemi operativi. È qui che, poco
più che ventenne, scrive il primo text editor estendibile, Emacs. Ma
soprattutto abbraccia lo stile di vita anti-burocratico, creativo e insofferente
di ogni autorità costituita, tipico della prima generazione di
computer hacker al MIT. Nei primi anni ‘60 si deve a costoro, ad esempio,
la nascita di Spacewar, il primo video game interattivo, che includeva
tutte le caratteristiche dell’hacking tradizionale: divertente e
casuale, perfetto per la distrazione serale di decine di hacker, dava però
concretezza alle capacità di innovazione nell’ambito della programmazione.
Ovviamente, era del tutto libero (e gratuito), di modo che il
relativo codice venne ampiamente condiviso con altri programmatori.
Pur se non sempre queste posizioni di apertura e condivisione erano
parimenti apprezzate da hacker e ricercatori “ufficiali”, nella rapida
evoluzione del settore informatico i due tipi di programmatori finirono
per impostare un rapporto basato sulla collaborazione, una sorta di
una relazione simbiotica. La generazione successiva, cui apparteneva
Richard Stallman, aspirava a calcare le orme di quei primi hacker, particolarmente
a livello etico. Onde potersi definire tale, all’hacker era
richiesto qualcosa in più che scrivere programmi interessanti; doveva
far parte dell’omonima cultura e onorarne le tradizioni in maniera
analoga alle corporazioni medievali, pur se con una struttura sociale
non così rigida. Scenario che prese corpo in istituzioni accademiche d’avanguardia,
quali MIT, Stanford e Carnegie Mellon, emanando al
contempo quelle norme non ancora scritte che governavano i comportamenti
dell’hacker – l’etica hacker.
Proprio per garantire massima consistenza e aderenza a tale etica, dopo
non poche vicissitudini, all’inizio del 1984 Stallman lascia il MIT per
dedicarsi anima e corpo al lancio del progetto GNU e della successiva
Free Software Foundation. Come scrive Sam Williams nella biografia
‘ufficiosa’ di Stallman (Codice Libero, Apogeo, 2003), il «passaggio
di Richard Matthew Stallman da accademico frustrato a leader politico
nel corso degli ultimi vent’anni, testimonia della sua natura testarda
e della volontà prodigiosa, di una visione ben articolata sui valori
di quel movimento per il software libero che ha aiutato a costruire». A
ciò va aggiunta l’alta qualità dei programmi da lui realizzati man
mano, «programmi che ne hanno cementato la reputazione come sviluppatore
leggendario». Un attivismo spietato, il suo, sempre al servizio
della libertà di programmazione, di parola, di pensiero. Non certo
casualmente alla domanda se, di fronte alla quasi-egemonia del
software proprietario, oggi il movimento del software libero rischi di
perdere la capacità di stare al passo con i più recenti sviluppi tecnologici,
Stallman non ha dubbi: «Credo che la libertà sia più importante
del puro avanzamento tecnico. Sceglierei sempre un programma libero
meno aggiornato piuttosto che uno non-libero più recente, perché
non voglio rinunciare alla libertà personale. La mia regola è, se non
posso condividerlo, allora non lo uso».
Questo in estrema sintesi il percorso seguito finora dall’ideatore del
movimento del software libero, rimandando ulteriori approfondimen-
ti alle risorse segnalate in appendice. Ma per quanti hanno scarsa familiarità
con simili dinamiche e con lo Stallman-pensiero, oppure per chi
vuole esplorare tematiche più ampie, questa collezione di saggi è certamente
l’ideale. Primo, perché copre vent’anni di interventi pubblici da
parte di colui che viene (giustamente) considerato il “profeta” del software
libero. Secondo, perché nella raccolta vengono sottolineati gli aspetti
sociali dell’attività di programmazione, chiarendo come tale attività possa
creare davvero comunità e giustizia. Terzo, perché nel panorama dell’informazione
odierna spesso fin troppo rapida e generica, ancor più in
ambito informatico, è vitale tenersi correttamente aggiornati su faccende
calde, tipo le crescenti potenzialità del copyleft (noto anche come “permesso
d’autore”) oppure i pericoli dei brevetti sul software. La raccolta
riporta inoltre una serie di documenti storici cruciali: il “Manifesto
GNU” datato 1984 (leggermente rivisto per l’occasione), la definizione
di software libero, la spiegazione del motivo per cui sia meglio usare la
definizione ‘software libero’ anziché ‘open source’. Il tutto mirando ad un
pubblico il più vasto possibile: “non occorre avere un background in computer
science per comprendere la filosofia e le idee qui esposte”, come recita
infatti la nota introduttiva del libro originale – Free Software, Free
Society: Selected Essays of Richard M. Stallman.
L’edizione italiana di quest’ultima è stata scomposta in due distinti
volumi: quello che avete per le mani, dove sono raccolte le prime due
sezioni della versione inglese, verrà seguito a breve da un secondo con i
testi rimanenti. Tra questi, vanno fin d’ora segnalate le trascrizioni di
alcuni importanti interventi dal vivo di Stallman (quali “Copyright e
globalizzazione nell’epoca delle reti informatiche” e “Software libero:
libertà e cooperazione”), oltre al testo integrale delle varie licenze GNU,
a partire dalla più affermata, la GPL, General Public License.
Si è optato per due volumi italiani onde rendere più agile e godibile
l’intera opera originale, considerando lo spessore e la complessità spesso
presenti nei vari saggi. Presi nella loro interezza, questi forniranno al
lettore un quadro ampio e articolato su questioni pressanti, non soltanto
per l’odierno ambito informatico. Proprio perché Stallman non
si risparmia affatto, gettando luce sul passato e soprattutto sul futuro
di tematiche al crocevia tra etica e legge, business e software, libertà
individuale e società trasparente.
Senza infine dimenticare come a complemento del tutto sia già attiva
un’apposita area sul sito web di Stampa Alternativa (http://www.stampalternativa.
it/freesoft/index.html) dove circolano interventi vari in
tema di software libero e dove troverà spazio l’intera versione italiana
del libro. Oltre naturalmente alle relative modifiche, ovvero le segnalazioni
di lettori e utenti riguardo errori, contributi, aggiornamenti e
quant’altro possibile. Il materiale qui raccolto sarà ulteriormente disponibile
sul sito dell’Associazione Software Libero, il quale ospita il gruppo
dei traduttori italiani dei testi del progetto GNU (http://www.softwarelibero.
it/gnudoc/) che ha validamente contribuito alla stesura di questo
lavoro. Un lavoro, va detto nel caso qualcuno avesse ancora dei dubbi,
portato avanti interamente via internet tra i vari soggetti coinvolti,
dalla fase di progettazione a quella di consegna dei materiali definitivi,
e ricorrendo al software non proprietario per quanto possibile.
Un progetto in evoluzione continua, quindi, in sintonia con la pratica
di massima apertura e condivisione su cui vive e prospera il movimento
del software libero a livello globale – espressione concreta di un
esperimento teso all’affermazione della libertà di tutti e di ciascuno.
Bernardo Parrella

La copia letterale e la distribuzione di questo testo nella sua integrità sono
permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che sia mantenuta questa nota.

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