Il manifesto del WWF Basilicata e di Comunità Lucana-Movimento No Oil che fotografa la situazione ufficiale di estrazioni e ricerche petrolifere nella nostra regione serve a far il punto su una realtà, quella degli idrocarburi in Basilicata, sulla quale crediamo sia arrivato l’ora di fare chiarezza a cominciare proprio dalle dimensioni che essa assume nelle cifre e nelle percentuali di quanto già viene estratto e nella prospettiva che queste dimensioni aumentino ancora, trasformando una terra che si sarebbe definita dei parchi a “ damigiana petrolifera” d’Italia.Se infatti le cifre ufficiali delle estrazioni dell’ultimo triennio indicano nel 73,10 % e nell’ 82,79 % il rispettivo contributo lucano alla produzione nazionale totale ed in terraferma di petrolio e nel 12,00% e nel 41,26 % quelle di gas naturale, ciò indica il grande contributo della regione al fabbisogno di un paese ancora troppo dipendente dagli idrocarburi per la sua produzione energetica.
Un contributo evidentemente tanto determinante da non doversi frapporre ostacoli alle opere di coltivazione: tale fu la clausola di “interesse nazionale” posta negli accordi del ‘98 su petrolio e gas della Val d’Agri - dalla quale proviene la quasi totalità dell’estratto in regione - clausola che di fatto fissa un limite insuperabile che sintetizziamo in un “in questa valle si estrae e non si discute”.Un limite che spiega sia la storia di un parco nazionale proposto nel ‘91 con una perimetrazione ed istituito nel 2008 con ben altra perimetrazione, basata più sulla posizione dei pozzi e delle infrastrutture di trattamento del greggio che sulle esigenze di continuità biologica ed interazione delle attività umane al territorio del parco, e immediatamente commissariato, sia “stranezze” come pozzi autorizzati a pochi metri da un ospedale o su una diga o proprio sotto il santuario regionale della Madonna di Viggiano, il cui viso e le mani color nero del petrolio forse ne sono stati presagio.Potremmo continuare con i monitoraggi che tra Arpab, Agribios e la stessa Eni non forniscono mai la omogeneità di dati che pur ci si dovrebbe aspettare da centraline poste le une vicine alle altre e con un osservatorio ambientale che partendo dopo 12 anni dagli accordi del ‘98 che pur lo prevedevano, non potrà che registrare un “punto zero” che non sarà più reale, essendosi nel frattempo trasformato in un punto d’altro valore numerico che ci toccherà assumere come dato di partenza. O potremmo continuare con la gran maggioranza dei pozzi posti in solo comune, quello di Viggiano, che certo non contiene l’intero giacimento, ma che in un certo senso “chiude” la questione di un controllo politico su attività di estrazione che a ben altri controlli andrebbero sottoposte, a cominciare da quelli sui singoli pozzi e su cosa accade durante le perforazioni ed estrazioni. Ma se a quanto accade in Val d’Agri dovesse aggiungersi la prospettiva di una regione dove sono 17 le istanze di ricerca di idrocarburi, 10 i permessi di ricerca, 22 le concessioni di estrazione (e di cui alcune oggetto delle estrazioni degli anni ’50-’60 ancora attive nella prospettiva di migliori tecniche di estrazione che ne permettano il ripristino produttivo), 2 le istanze di stoccaggio di gas nel sottosuolo, la fotografia di una terra ridotta ad un campo petrolifero sarebbe ben delineabile in una finalizzazione coatta del territorio ad estrazioni che stravolgerebbe ogni indirizzo programmatico che la Regione Basilicata individuava nell’agricoltura di qualità, nel turismo, nella conservazione della biodiversità, come elementi propulsivi di sviluppo legato ad una ricca naturalità quasi ovunque scomparsa.Ciò non accade in un deserto, ma in una regione d’Italia, e pone una questione che non è “interesse nazionale” visto come amalgama di interessi privati, il profitto delle compagnie, e pubblici, quelli dello stato alla continuità delle forniture, questione che spesso confondiamo con una mera rivendicazione di maggiori royalties (e pur qualche problema al riguardo si pone), ma che è questione etica, di salute pubblica, di conservazione di uno strategico patrimonio naturale, di economia vocazionale dei territori; se infatti , come tutto sembra far presagire, gli iter procedurali di quelle istanze e di quei permessi di ricerca verranno accelerati in virtù di leggi che riportano in quota statale ciò che la riforma del Titolo V della Costituzione aveva concesso alla potestà regionale, di fatto tutto ciò potrebbe significare l’attivazione di ricerche ed estrazioni nel 60% del territorio regionale.In questa prospettiva non ci sarà spazio in questa regione per nulla che non odori di petrolio, di gas e di zolfo ed a chi voglia già odorare quel futuro non resta che recarsi presso il cento olii di Viggiano a saggiarne consistenza ed aroma. Tutto questo non è possibile e non va permesso. Crediamo così che la nostra richiesta di immediato blocco e revoca di tutte le istanze e dei permessi di ricerca e di più severi e stringenti controlli sulle attività di estrazione e trattamento di idrocarburi sia a questo punto doverosa e debba divenire un patrimonio di rivendicazione comune a tutti i lucani.
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